di Swami Anand Videha (1987)

Io sono un uomo completamente libero. Non mi preoccupo minimamente se mi credete o no illuminato. Lo sono; perché mi dovrei preoccupare del vostro giudizio? Non sono al mondo per soddisfare aspettative, sogni, illusioni altrui, né per sottostare all'altrui giudizio. Tutti i vostri leader religiosi sono schiavi delle aspettative che voi avete nei loro confronti, lo non sono prigioniero di nessuno. E mi sento leggerissimo proprio perché non mi trascino dietro pesi inutili di assurde tradizioni, che altro non hanno fatto se non storpiare l’umanità. Non mi interessa affatto cosa vi aspettiate da me, vivo e ho sempre vissuto momento per momento, ho sempre vissuto senza pensare al passato né tantomeno al futuro e ho scoperto che quello è l’unico stile di vita reale, altrimenti si finge, si spera di vivere, ma non si vive affatto. Se anche il mondo intero fosse contro di me, non sorgerebbe in me nessun dubbio; i dubbi in me si sono dissolti tutti e ora mi sento assolutamente a mio agio con me stesso e con l’esistenza.
Così si presenta Bhagwan Shree Rajneesh, nato Chandra Mohan nel 1931, in un piccolo villaggio dell’India centrale. Da quelle parole emerge una determinazione, certamente frutto di profonde esperienze e di una continua ricerca per arrivare a conoscere il proprio essere, che mai lo ha abbandonato in tutta la sua vita.
Quella ricerca risale all’infanzia, sei vero che già a quattro anni “feci capire ai miei genitori che volevo essere lasciato in pace e che in pace volevo cercare me stesso”.
I miei genitori erano persone comuni, hanno fatto del loro meglio per convertirmi alla loro religione, ma io ero un ribelle e già allora non volli mai subire nulla. Facevo chiarezza sulle cose più piccole, non solo su quelle spirituali. Per esempio, se mio padre diceva: ‘Esci da questa stanza, voglio stare solo’, rispondevo: ‘Se ti senti disturbato, esci tu! Io voglio stare qui, e non uscirò da qui... vivo!’ Né mi disturbava se venivo punito. Non me la prendevo mai, anzi trasformavo la punizione in un divertimento: se venivo rinchiuso in uno stanzino buio per qualche ora, pretendevo di restarci tutto il giorno; se a scuola mi dicevano di fare il giro dell'isolato di corsa dieci volte, io lo facevo cento, dicendo: Preferisco stare qui fuori a correre, che in quell’aula puzzolente a sentire idiozie.
Questa ribellione, questa disubbidienza, non erano però fine a se stesse. “Ogni individuo dovrebbe seguire la propria intelligenza, non ubbidire ciecamente; in questo caso rafforza la fiducia in se stesso, nella sua intelligenza, nel suo essere un individuo, lo non ho mai voluto che qualcuno mi salvasse. Non ho mai seguito nessuno, non ho mai delegato ad altri le mie responsabilità. Le ho sempre assunte in prima persona, accettandone sempre le conseguenze."
Non si dovrebbe ostacolare la crescita di un bambino, neppure se si mette in pericolo. È meglio lasciare che qualche bambino muoia per eccesso di fiducia che continuare a dare corda a questo mondo pieno dì stupidità e ipocrisia. Un conto è dire al bambino che esiste un pericolo mortale e offrirgli aiuto, un altro è impedirgli sempre e comunque di rischiare liberamente; io non interferirò mai netta libertà di nessuno, la rispetterò a qualsiasi costo.”
Un quadro d’insieme che spiega l’unicità di Bhagwan Shree Rajneesh e la natura dell’interesse sorto intorno a lui, in tutto il mondo, negli anni settanta-ottanta, e che allo stesso tempo chiarisce l’obiezione di fondo che da ogni parte gli è stata sollevata: “Ciò che dici non si applica al mondo così come è strutturato, anzi lo annulla...”
“Non mi interessa. Perché mai conformarsi?” è la sua risposta. “Ogni persona intelligente dovrebbe decidere per se stessa. Questa idea di interferire sempre nella vita degli altri è stata inventata dai leader politici e religiosi, che nei secoli hanno condizionato l'intera umanità. Fino alla nausea hanno ripetuto: Dovete servire gli altri, sacrificarvi; non si deve essere egoisti. Il mio approccio invece è: devi essere egoista! Devi realizzarti, giungere a completa fioritura. Allora arriverai a condividere ciò che hai realizzato in te. Sarà naturale.”

A quella realizzazione Rajneesh arrivò il 21 marzo 1953, all’età di ventun anni. La sua esistenza tormentata degli anni precedenti parve avere fine, come ebbe fine per lui l’idea del mondo, comune a molti uomini, fondata su desideri e sogni, e di conseguenza divisa in “bene e male”, con tutto ciò che questa divisione comporta. “Nella mia vita ho avuto un solo desiderio, un solo sogno: sognavo di illuminarmi, desideravo arrivare a conoscere me stesso. Si è realizzato. Da allora non ho più avuto nulla da sognare. È insolito e strano il fatto che, in un mondo così folle, io fossi così sano... All’improvviso mi ritrovai a casa, per la prima volta ero assolutamente quieto, non avevo mete, scopi. Per la prima volta ero qui e ora. Quell’esperienza è il fenomeno più semplice e comune che esista, pur rendendomi unico, non mi ha affatto reso straordinario. Anzi, io sono un semplice essere umano. Tra me e voi non esiste alcuna differenza sostanziale. L’unica diversità è questa: io ho gli occhi aperti, voi li avete chiusi. Potete aprirli, o io chiuderli, e saremo uguali... non mi sembra una gran diversità!”
Da quel giorno, Bhagwan lavorò con sempre maggior determinazione, con l'intenzione di aprire gli occhi alla gente, giocando con la logica, con l'ironia, con l'assurdo, in una girandola di concetti e contraddizioni che scuotevano e sconvolgevano gli auditori stracolmi, là dove gli era concesso di parlare. A rischio della vita, abituò i suoi ascoltatori a una chiarezza audace, senza confronti: “Gli esseri umani non si troverebbero a vivere in condizioni così assurde e idiote. È un segno che non è mai esistita un’evoluzione. Sembra proprio che le scimmie non siano mai diventate uomini! Forse qualcuna ti è riuscita, ma non mi azzarderei a dire che Ronald Reagan è un essere umano.”
Tanta forza gli procurò non solo nemici, ma anche amici sinceri, sia nell’ambiente universitario, dove sì era pienamente inserito dopo la laurea (ottenuta nel 1957) insegnando al Raipur Sanskrit College prima e all'università di Jabalpur poi, sia nell'ambiente politico. “Indirà Gandhi una volta mi disse: Potresti dire le stesse, identiche cose senza veemenza, senza infiammarti tanto, la gente ti ascolterebbe lo stesso ma tu non ti troveresti continuamente nei guai, come ora! Le risposi: Ma allora perché parlare? Comunque mi hai dato una buona idea. D’ora in poi ti mettevo più forza ancora! Solo infiammando gli animi della gente esiste una possibilità che esca dal sonno atavico in cui vive!

Furono anni più tardi siglati come “il periodo della chiamata”, durante i quali il peculiare magnetismo sempre esistito in Rajneesh portò molti a ricono¬scerlo come Maestro. “Non ricordo un solo periodo della mia gioventù in cui qualcuno non venisse da me con l’idea che di certo avrebbe potuto ottenere un buon consiglio. Non ho mai avuto amici della mia età. I miei amici erano molto più vecchi dì me, per il semplice motivo che solo le persone adulte erano in grado di capire ciò che dicevo, il mio modo di vedere le cose.

Personalmente non ho mai voluto convertire nessuno. Mi sembra il crimine peggiore che si possa commettere. Chi sei per convertire un altro? Ciò che puoi fare è aprire il tuo cuore. E se nel tuo cuore esiste una luce, la puoi condividere con gli altri. E se qualcosa in loro sì accenderà si sentiranno spinti lungo il sentiero, inizieranno una ricerca inferiore. Non sarà affatto una conversione, ma una inversione. Chi mi conosce bene, cercherà di arrivare a conoscere se stesso. È l'unica strada...”
Fu così che nell'ottobre del 1970 prese vita intorno a lui una sanga, una comunità spirituale di ricercatori che si riconobbero come discepoli, accettando il mala (una collana di centotto grani, al cui termine era posto un meda¬glione che racchiudeva l’immagine di Bhagwan), l'uso di abiti dai colori solari (arancio-rossi) e il cambio del nome a significare una nuova nascita.
In quello stesso anno (10-13 aprile 1970) Bhagwan presentò per la prima volta la Meditazione Dinamica, a Bombay: una tecnica di meditazione nuova, adatta all’uomo contemporaneo, studiata su misura per ricreare un contatto con l’energia biopsichica e ristabilire un’armonia nel flusso vitale all’interno dell’organismo.
Sempre in questo periodo, Bhagwan smise di viaggiare, vivendo a Bombay prima e quindi trasferendosi a Poona nel 1974, dove in breve tempo sorse un centro di crescita olistica la cui eco divenne mondiale.
Per sette anni (1974-81) Bhagwan tenne un discorso ogni mattina, toccando tutti gli aspetti possibili della ricerca spirituale, rispondendo a domande di discepoli e ricercatori, affrontando una varietà infinita di argomenti: dalla psicologia alla religione, dall'educazione alla società, dalla politica alla filosofia, all'amore, alla famiglia, al sesso ecc.
Non mancarono nuove controversie, anche perché la stampa di tutto il mondo, soprattutto occidentale, venne incuriosita da quest'incredibile migrazione di giovani e meno giovani alla volta di Poona. Tutti si dicevano alla ricerca del Vero, che in Bhagwan vedevano manifesto. E lui diceva loro: “La verità non è distante, ma è difficile, arduo, conseguirla, per i nostri investimenti nelle menzogne... accettando di essere discepoli, avete dato un segno che, a tentoni, vi siete incamminati verso la luce, avete iniziato a desiderare l’alba...” Ma questo la stampa non parve mai capirlo.
Nessuno mai potrà dire cosa furono quegli anni: l’entusiasmo e l’euforia di quanti finalmente erano certi di aver trovato “un mondo reale” in cui esistere, maturarono con il tempo, attraverso le esperienze più insolite, portando a quella profondità che è propria a una vita vissuta con pienezza. Molti riuscirono a trovare la chiave che apre la via alla meditazione – e vai la pena ricordare che non si tratta di una tecnica, la cui funzione è solo di scioglimento, di riequilibrio, di ritorno alla normalità perduta – e si avviarono verso quel viaggio di conoscenza di sé che non ha fine, né è legato a una generazione in particolare, ma ha seguito l'uomo fin dal suo primo esistere e lo accompagnerà sempre nella sua esistenza, “lo non ho nulla a che vedere con il 'Movimento dell'Età dell'Acquario', o consimili; la mia è una ricerca della verità che non conosce limiti tradizionali, né è etichettabile come una moda transeunte. Ha accompagnato l’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra. E finirà con lui.”
Molti altri si ritirarono dal gioco, dopo aver raccolto ciò che a loro pareva “il succo dell’insegnamento”; non mancarono le delusioni, le fughe, le critiche, i giudizi. Non mancò il rifiuto di quanti leggevano ciò che accadeva intorno a Bhagwan con altri occhi: occhi istituzionali, occhi laici, occhi cinici, occhi scettici, occhi politici.
Nulla di tutto ciò mutò il lavoro che quell'uomo stava portando avanti, ed è forse questo ciò che sconcerta e spinge ad ascoltare ancora una volta un’altra descrizione che Bhagwan da di sé: “Io sono un semplice specchio. Nonostante intorno a me accadano una infinità di cose, io non faccio nulla. Non ho un insegnamento da impartirvi, né una filosofia da trasmettervi. Ciò che cerco di comunicarvi è una musica che ho udito, ma non è traducibile in parole; è il suono dell'acqua che scorre, è il vento che fruscia tra i pini, è il canto degli uccelli, è il silenzio che avvolge l'oscurità, si nasconde nella danza dei raggi del sole. È ovunque. Ma è una musica, e se non siete in grado di percepirla non sarete mai in grado di comprendere me.”
Con gli anni, questo richiamo venne udito da centinaia di migliaia di persone che si riversavano a Poona, certe di trovare un ambiente dove era possibile prendersi cura del proprio essere, lontano dai clamori del mondo, libere da ruoli e rituali. Ma quando la fama di Poona aveva raggiunto gli angoli più remoti del pianeta, fedele al suo essere imprevedibile, il primo maggio 1981, Bhagwan entrò in silenzio, dichiarando che quella era la fase suprema del suo lavoro: “In principio era il verbo, sostengono in molti. Lo nego categoricamente; in principio era il silenzio e ci sarà il silenzio alla fine. Quello solo racchiude la verità: e la sostanza che compone l’universo intero.” Nel frattempo, incuranti di critiche e obiezioni, di ostacoli e detrattori, i suoi discepoli avevano costruito nel mondo un campo di energia spirituale, detto Buddhafield, che non conosceva frontiere: duecentocinquanta centri di meditazione, quarantacinque comunità autosufficienti, hotel, ristoranti, attività commerciali, che fecero parlare la stampa di "J.R. dello spirito" e questa espansione sembrava non conoscere limiti.
In America si provvide ad acquistare un ranch, il quarto per grandezza negli USA, in Oregon, dove vennero centralizzate le attività della Rajneesh Foundation International, l’associazione religiosa sorta intorno a Bhagwan, e questi venne invitato a risiedervi, quando si trasferì in USA per motivi di salute (giugno 1981).
A capo dell’organizzazione fu posta Ma Anand Sheela, la segretaria che nel settembre 1985 fece tanto parlare di sé non solo perché scappò con quarantatré milioni di dollari ma perché, dopo la sua fuga, venne alla luce un disegno criminoso da lei diretto, teso a istituzionalizzare il movimento di ricercatori spirituali che in quegli anni si era consolidato intorno a Bhagwan, trasformandolo in una vera e propria religione: l’esatto opposto di quanto Bhagwan era andato predicando nel corso di tutta la sua vita.
L’organizzazione fu al centro di una rivoluzione non cruenta, che le cronache, troppo stordite dai fatti, non hanno mai descritto. Innanzitutto, l’elemento di contraddizione sorse in seno alla comunità quando Rajneesh riprese a parlare. Di nuovo i suoi discepoli si trovarono di fronte al Maestro e al suo insistere sull’individualità, sulla ribellione, sulla ricerca inferiore... in quegli anni certamente passate in secondo piano, rimosse o trasferite in un futuro ipotetico, quando la comunità avesse avuto basi consolidate, e sostituite da un presente all’insegna dell’unità a tutti i costi, per fronteggiare i "nemici" esterni.
In effetti i nemici non mancavano, se è vero che lo stato dell'Oregon è il più conservatore degli USA, anche perché composto da elementi di stretta osservanza protestante, privo quindi di quella “apertura” caratteristica dei gruppi misti, composti da persone di nazionalità, fede e tradizioni diverse, e di conseguenza abituati alla convivenza.
Ne nacque una battaglia politica, dove in breve le istituzioni americane si sentirono chiamate in causa, e per difendersi non mancarono di utilizzare gli espedienti più subdoli, se è vero che la città costruita per sostenere il lavoro agricolo e di recupero del territorio a Rancho Rajneesh, città in un primo tempo riconosciuta legalmente, venne due anni dopo resa illegale con una legge retroattiva sull'uso del territorio che ne impediva l'esistenza...
Bhagwan, nei suoi nuovi discorsi non era cambiato: le sue accuse a preti e politici, accuse trasmesse in diretta dai network americani che avevano cameramen fissi nella comunità, tanti e tali erano gli eventi che accadevano in continuazione, erano taglienti come non mai: “Il mio lavoro può essere definito in un solo modo: è un lavoro ingrato. Vi devo martellare, ferire, per asportare il cancro che mina la vostra consapevolezza. Né posso scuotervi dai vostri credo senza disturbare il condizionamento ipnotico creato in voi da preti e politici.”
Di nuovo, non era un istigare alla ribellione fine a se stesso: “Essere ribelli significa essere religiosi. Lasciar spazio al dubbio che da solo può guidare alla conoscenza.” E di nuovo, quell’invito alla ribellione era accompagnato da un invito alla meditazione: “Per me il problema maggiore che l'umanità si trova a dover affrontare oggi è il suo non sapere nulla sulla meditazione.”
Meditazione che, al contrario di quanto si crede, non è un miglior uso della mente, ma un vedete la vasta sfera dell’essere che esiste al di là della mente, un imparare a osservare con distacco azioni, pensieri, emozioni, sentimenti, fino a prendere coscienza di quell'osservatore che si trova all'interno dell'essere. Lì sta la soglia che conduce a spazi di silenzio, quiete, non-mente, già conosciuti in passato da mistici di ogni tempo e paese, e che sta alla base della ricerca spirituale comune a ogni uomo.
"Mi si da troppa importanza," ha detto recentemente Bhagwan, “io non sono altro che un elemento di una ricerca che esisterebbe anche senza di me, e che oggi ha un’eco mondiale perché l'umanità è matura per un salto di qualità, per una mutazione, per una evoluzione... se anche io non esistessi questa ricerca esisterebbe.” È però vero che in lui le istituzioni americane hanno visto un pericolo gravissimo, da esorcizzare in qualche modo, forse perché non si li¬mitava a parlare, ma con la "sua gente" stava dimostrando nei fatti il valore di questa ricerca non solo inferiore, la possibilità di vivere in armonia con se stessi, l’umanità intera e la natura... e l'occasione venne il 30 ottobre 1985, in occasione di un viaggio fatto da Rajneesh nel North Carolina.

Arrestato, tradotto da un carcere all'altro degli USA, presentato in TV con i polsi ammanettati, si cercò di umiliarlo presentando al tempo stesso l'immagine di una giustizia "inesorabile", alla quale non si sfugge. Realtà annullata però dai media stessi, che di fronte a tanta, troppa ferocia, iniziarono a dubitare e ad ascoltare con orecchio più attento ciò che quest'uomo aveva da dire; il Newsweek, il Corriere della Sera, Le Figaro, la NBC e decine di altri media diffusero interviste, articoli direttamente firmati da Bhagwan: “È inevitabile. Si può essere contro di me solo se non mi si conosce. Ma quando si arriva a conoscermi non esiste più contrasto. Nei miei confronti gli Stati Uniti si sono comportati in modo subdolo e fascista. Sono stato arrestato senza mandato, sulla base delle armi che mi venivano puntate addosso. Ogni volta che un governo fallisce a livello mentale, accadono cose come queste. In carcere hanno cercato di umiliarmi in tutti i modi, negandomi le coperte, una dieta vegetariana, addirittura lo spazzolino da denti. Ho notato che i carcerati sono molto più umani dei carcerieri. Alla fine il procuratore distrettuale è andato dai miei legali – è raro, solo la parte debole va a trattare con la controparte prima del processo e ha detto loro che se non mi fossi dichiarato colpevole, avrebbero fatto di tutto per rinviare il processo alle calende greche, negandomi l'uscita su cauzione.” (Newsweek, n. 11, 1986.)

Fu per questo motivo che Bhagwan Shree Rajneesh alla fine sì dichiarò colpevole di frode rispetto alle leggi che regolano l’immigrazione negli USA, e venne poi espulso (novembre 1985). Questa è stata la sola accusa che gli poté essere imputata. È una colpa che in America potrebbe essere imputabile a oltre trenta milioni di persone... tanta è la gente che risiede negli Stati Uniti senza essere in regola con l'ufficio di immigrazione. Una realtà che la stampa più scandalistica, e quella italiana in particolare, ha spesso ritenuto di non dover far presente, forse troppo impegnata a giudicare con cinismo qualcosa dì troppo inspiegabile agli occhi dell’Occidente pragmatico.

Il vero retroscena di questa macchinazione ai danni di Bhagwan venne alla luce più tardi, quando il procuratore degli Stati Uniti d'America Charles Turner, in una conferenza stampa, alla domanda dei giornalisti che gli chiedevano come mai i capi d'accusa spiccati contro la segretaria di Bhagwan non fossero stati contestati anche a lui, rispose evidenziando tre punti molto significativi: Turner disse che la priorità del governo degli Stati Uniti era distruggere la comune nata a Rancho Rajnneesh, e le autorità sapevano che l'allontanamento di Bhagwan avrebbe fatto precipitare la situazione. In secondo luogo, non era loro intenzione trasformare Bhagwan in un martire. E infine, non esisteva prova alcuna che collegasse Bhagwan a qualcuno dei crimini commessi, e pertanto non lo si poteva ritenere complice degli stessi.

Tornato in India, nel gennaio 1986 Bhagwan decise di intraprendere un giro del mondo, con prima tappa Katmandu e seconda Creta. Qui si trovi a dover affrontare il secondo grande Moloc della sua vita: la chiesa. Fu infatti il sinodo dei vescovi della chiesa ortodossa greca, riunitosi a Creta, che chiese al governo di intervenire con urgenza contro questo “pericolo pubblico”.

La risposta fu l’espulsione dal paese il 5 marzo 1986, cui seguì un rifiuto di visto d'entrata in Irlanda, Canada, Inghilterra, Svezia, Germania, Svizzera...”Al governo americano si sono alleati tutti i governi del mondo,“ ha detto Bhagwan dall’Uruguay, dove trovò temporanea dimora dopo l'espulsione dalla Creda, "è un comportamento idiota: mi danno un’importanza e un potere giganteschi. Hanno un potere immenso, mentre io non ne ho nessuno, eppure tramano contro di me con l’intenzione di arrestare il mio lavoro, di non lasciarmi stabilire da nessuna parte, di non permettere la nascita di un'altra comune... Tuttavia è mia intenzione creare una scuola di misteri, dove la gente verrà in pellegrinaggio, potrà dissetarsi, per poi tornare nel mondo. Noi non siamo persone che rinunciano al mondo, siamo rivoluzionari e vogliamo cambiare il mondo intero. E cambiando il mondo intero ognuno dì voi cambierà se stesso. Non potrai mai cambiare nulla, se simultaneamente non avverrà in te una trasformazione. Sarà una scuola mondiale, dove la gente verrà e se ne andrà portando con sé il messaggio, per farlo giungere agli angoli più remoti del mondo. Io voglio che mi ricordiate come un fiore, una fragranza, una fiamma... quella sarà l’essenza della scuola dei misteri. Queste chiese, questi governi non vorrebbero che nascesse, ma non hanno potere per impedirne la nascita. Nascerà, anche se ci vorrà un po' di tempo e ci saranno delle difficoltà. La mia fiducia nell'esistenza è assoluta. L’esistenza non può essere avara e priva di compassione con un uomo che per tutta la vita ha lavorato per la verità.”

Tanta certezza ormai non stupisce più. Nonostante le decine di detrattori, le mille etichette, le calunnie, le menzogne montate contro di lui, Bhagwan prosegue giorno dopo giorno nel suo “lavoro ingrato”, alimentandosi ad una fonte sconosciuta ai più, ma che sembra inesauribile.

E giorno dopo giorno il richiamo che la sua presenza emana è lo stesso: nei sette mesi in cui Bhagwan visse girando il mondo, ovunque si stabiliva subito si riunivano intorno a lui frotte di amici, di discepoli, di devoti, di curiosi... un segno che l'impatto che egli ha nel cuore di molti uomini ha ormai radici tali che nessun ostracismo potrà mai annullare.

È una realtà che spaventa... e che ha spinto più della metà delle nazioni che arbitrariamente si sono distribuite il possesso del pianeta Terra ad impedirgli l’ingresso o a deportarlo, motivando la loro decisione con affermatimi lapidarie: “Corrompe la nostra gioventù.”

È una verità, un altro fatto che lascia allibiti: negli anni, ancor oggi, nelle generazioni che si affacciano alla vita, la sua presenza resta profonda, immutata nel tempo. Al contrario di tutte le mode, la presenza, il valore, la funzione di Bhagwan sembrano non conoscere tramonto alcuno. “La funzione del Maestro non è renderti un credente, ma creare una vibrazione che ti spinga a sperimentare. Ti dice: ‘Ho visto qualcosa, una soglia attraverso la quale mi sono affacciato sulla vastità del cielo.’ E non è difficile creare una forza magnetica, perché se ho visto veramente quella vastità, i miei occhi la rifletteranno; se ho visto le stelle, saranno inevitabilmente riflesse in me. Non devo fare nessuna rivendicazione. E non ho paura di ciò che mi può accadere: in me è sorta un’incredibile sensazione. Se anche venissi buttato all'inferno, il mio paradiso non ne verrebbe disturbato. Ovunque sono, il mio paradiso sarà con me. Potrete uccidere me, ma non potrete mai uccidere il mio spirito." (Newsweek, n. 11, 1986.)

“Lo ripeto: non ho nessun potere su quanti mi stanno vicini, non ho seguaci. Ed è per questo che ho dichiarato morta la religione sorta intorno a me.” (Annuncio fatto nel settembre 1985.)

È un messaggio che nel suo insieme solo un cuore "non ancora corrotto dai giochi del mondo" può riecheggiare. Ed è un messaggio che sconvolge chiunque abbia interesse al mantenimento dello status quo. L'inseguimento messo in atto dall'America paese che alla fine si è rivelato essere alle spalle di tante deportazioni e di tanti rifiuti di un visto a Bhagwan, perfino in qualità di semplice turista dimostra fino a che punto quello “sconvolgimento” può arrivare. "Vogliamo zittire Bhagwan con ogni mezzo!" è stato il commento del procuratore degli Stati Uniti d'America. “Voglio che non si senta mai più parlare di lui!”

A chi si chiedesse fino a che punto l’America è disposta ad arrivare per zittire un uomo che si presenta inerme, ovunque vada, basterà segnalare quanto è successo in Uruguay: il governo era pronto a dare un visto permanente a Bhagwan, ma Sanguinetti, il presidente dell'Uruguay, dovette ritornare sulla decisione già presa in quanto, la notte prima che tale decisione venisse annunciata alla stampa, egli ricevette una telefonata da Washington in cui gli veniva detto che l’America era pronta a richiedere la restituzione immediata de prestiti fino ad allora concessi (6 miliardi di dollari) e a non concedere mai più un prestito al paese se Bhagwan non veniva deportato immediatamente. Ovviamente l'Uruguay non poteva che scegliere in un solo senso, e Bhagwan fu costretto a lasciare il paese il 18 giugno 1986.

È un comportamento strano, inconscio, pericoloso in quanto capace di esplodere in azioni inconsulte, che spinse Bhagwan a consigliare i suoi discepoli di togliere definitivamente qualsiasi identificazione esteriore potesse procurare loro dei guai con le istituzioni, rendendoli vittime di discriminazioni o vessazioni, come stava accadendo in Germania dove ai sannyasin veniva impedito di entrare nel pubblico impiego. Il consiglio venne diffuso rapidamente tra tutti i suoi discepoli, prima che l'India potesse mettere in atto le misure restrittive pretese da Washington, affinché non si parlasse più, né tanto meno si potesse ricreare un "movimento" intorno a Bhagwan, stabilitosi a Bombay il 29 luglio 1986.

Qui Bhagwan riprese a parlare e qui rimase fino al 4 gennaio 1987, giorno in cui decise di tornare al vecchio ashram di Poona. Dove l'accoglienza riflette lo stesso clima di ostracismo che aveva segnato tutte le sue tappe dalla partenza dagli USA in poi: poche ore dopo il suo arrivo, il capo della polizia della città emetteva un'ordinanza in cui veniva richiesto a Bhagwan di lasciare immediatamente Poona, in quanto si trattava di “persona controversa” che poteva “disturbare la quiete della città”. Ma lo stesso giorno, il tribunale di Bombay revocò quest'ordinanza. Contemporaneamente un fanatico hindu, che nel maggio 1980 aveva attentato alla vita di Bhagwan lanciandogli un coltello durante un discorso pubblico, tornò a farsi vivo minacciando di assaltare l’ashram alla testa di 200 uomini, tutti esperti in arti marziali, se Bhagwan non veniva espulso dalla città.

In questa atmosfera a tutt’oggi Bhagwan vive nel suo paese natale, praticamente al confino. Tuttavia, i tanti tentativi di isolare Bhagwan messi in atto dai governi del cosiddetto “mondo libero” sembrano non avere successo: a migliaia, di nuovo, le persone di ogni razza e paese si siedono ai suoi piedi per appagare un desiderio profondo che supera ogni barriera e che va al di là di ogni limite di razza, religione, classe. Ora si parla di un network di meditatori: “Io non amo ripetere la storia. II potere, anche se è il potere dell’amore, disturba quanti sono al potere: ma piccoli gruppi di persone che meditano, non danno fastidio a nessuno, e il loro impatto è identico. Il loro silenzio, la loro quiete, la loro estasi influenzerà altra gente che inizierà ad aspirare a quella stessa dimensione... ancora possiamo compiere una rivoluzione senza confronti con il passato. E oggi più di ieri, in quanto non avete più bisogno di una struttura all’esterno per esistere, per riconoscervi, per essere.”

Per assurdo, nonostante ciò che accade, Bhagwan continua quieto per la sua strada, e trasforma, pur senza far nulla, quanti intorno a lui si riuniscono: con lui ogni evento lascia un segno, crea scalpore, produce e annulla critiche, solleva interrogativi in quanti in un modo o nell'altro aspirano ad etichettare questa straordinaria figura per poterla licenziare, per non doverti pensare più!

Queste dinamiche valgono anche per i suoi discepoli, che ogni volta vengono sbalorditi, sconvolti, ricondotti ad una solitudine che è raro riuscire ad accettare, se non impossibile, visto l'istinto ad essere "animale sociale", proprio a tutti gli esseri umani. Istinto che fino ad oggi ha trasformato le utopie di libertà più belle nelle più dure delle prigioni.

Ma a Bhagwan il passato non interessa. “Prima di andarmene voglio distruggere in voi ogni possibilità di istituzionalizzazione. Voglio lasciarvi soli, appagati al punto da non avere più bisogno di un intermediario con la verità suprema dell’esistenza” disse allorché dichiarò sciolta la religione sorta intorno a lui, nel corso di una conferenza stampa mondiale. “Per questo ho annullato l’uso dei colori rossi: d’ora in poi tutti i colori dell’arcobaleno vi appartengono, così vi potrete mischiare più facilmente con l’umanità. E perché assuefarsi a pochi colori, se ce ne sono così tanti... né sarà più necessario portare il mālā. Dovete ricordare solo una cosa: non scordate che la vita è realizzata solo quando ognuno di voi tocca l’essenza più intima del proprio essere. Quella è la sola cosa essenziale: realizzare l’essere, il silenzio, la tua realtà esistenziale. E per fare questo non occorre una professione di fede, lo non sono un leader, non ho catechismi, non ho teologie. Tu non sei un seguace: è sufficiente essere amici. Forse, nell’amicizia, tra me e te traspirerà qualcosa... e in quella condivisione, in quell’amore, forse ti sveglierai.”

A queste parole un giornalista obiettò: “Ma la gente è attratta da te più che mai, proprio perché affermi dì non essere un leader, proprio perché dici: Non seguitemi, non abbiate fede in me.”

E Bhagwan rispose: "Dimmi cosa dovrei fare: potrei dire: 'Abbiate fede in me, sono il vostro leader.' Ma in quel caso verrei criticato e giudicato perché istigo la gente a diventare miei seguaci, proprio come lo sono ora, che dico loro di non seguirmi. La terza soluzione sarebbe stare zitto, ma anche in quel caso verrei condannato per il mio silenzio, perché provocherebbe comunque una risposta, altre adesioni... in tutti i casi verrei dichiarato colpevole. Mi sembra una situazione assurda: non puoi dichiarare colpevole una persona sempre e comunque, qualsiasi cosa faccia... eppure con me succede!”.